The Questione della Lingua Is Answered
Con questione della lingua, si indica una disputa di carattere sociale in ambito letterario, che ebbe la sua fase più acuta agli inizi del Cinquecento e che si protrasse con alterne vicende almeno fino ad Alessandro Manzoni. Verteva sul problema di quale lingua utilizzare nella penisola italiana.
L'origine del dibattito può ricercarsi nel De vulgari eloquentia di Dante, dove si riprendeva l'allora comunemente accettata teoria della monogenesi di tutte le lingue del mondo (che sarebbero derivate dall'idioma di Adamo: l'ebraico, la lingua delle Sacre Scritture) e si identificava la lingua volgare con lo sviluppo delle varietà plebee locali già parlate nell'antichità a seguito dell'episodio della Torre di Babele in cui Dio avrebbe punito gli uomini facendo sì che le lingue da essi parlate si differenziassero tra loro.
Il latino, lingua d'uso internazionale, allora generalmente adoperata nelle scritture e nei discorsi ufficiali, era definito da Dante come gramatica per antonomasia, cioè lingua convenzionale creata artificialmente perfetta. Tuttavia il volgare d'Italia, suddiviso al suo interno in tredici principali ripartizioni dialettali, aveva meritato, grazie alla Scuola poetica siciliana, di elevarsi all'uso scritto. Restava però aperto il problema sulla conformazione di quel volgare illustre che secondo Dante avrebbe dovuto avvalersi del concorso di tutti i dialetti d'Italia.
È interessante osservare che Dante nella propria opera letteraria non tentò di "inventare" un volgare pan italiano, bensì utilizzò il nativo fiorentino, pur criticando a livello teorico il toscano: "... si tuscanas examinemus loquelas...non restat in dubio quin aliud sit vulgare quod querimus quam quod actingit populus Tuscanorum", cioè se esaminiamo le parlate toscane ... non c'è dubbio che altro sia il volgare che cerchiamo rispetto a ciò cui attinge il popolo toscano.
Si possono citare, fra i tratti non pan italiani del fiorentino di quel tempo:
Tuttavia, nel corso del Quattrocento si perse memoria del De Vulgari, che sopravviveva in pochissimi esemplari. Quando nel 1529 Giangiorgio Trissino lo ripropose in una sua traduzione alla pubblica opinione molti sostennero che Dante non avrebbe mai potuto scrivere tale opera, accusando il Trissino di mistificazione. Nel frattempo la questione si era riaperta e sviluppata per altre vie grazie all'affermarsi del volgare toscano. Per la scelta di quale lingua utilizzare per la penisola italiana si cominciarono a formare tre correnti ognuna delle quali sosteneva un volgare diverso:
In pieno Umanesimo la questione della lingua si fece più accesa, anche in conseguenza dell'avvento della stampa ,la quale rendeva necessaria, ovviamente,la presenza di una norma coerente e omogenea a livello nazionale. A quel tempo Venezia era la capitale europea dell'editoria, in contrasto con Firenze. Fu proprio da queste due città che nacquero le due maggiori scuole di pensiero, Veneta e Toscana: la prima affermava il suo predominio a livello europeo nell'editoria e quindi nella comunicazione, la seconda rivendicava la cittadinanza dei grandi letterati trasformatori della lingua (Dante, Petrarca, Boccaccio). Sempre al modello fiorentino, ma a quello contemporaneo, si ispirava la posizione espressa da Niccolò Machiavelli nel Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua.
L'origine del dibattito può ricercarsi nel De vulgari eloquentia di Dante, dove si riprendeva l'allora comunemente accettata teoria della monogenesi di tutte le lingue del mondo (che sarebbero derivate dall'idioma di Adamo: l'ebraico, la lingua delle Sacre Scritture) e si identificava la lingua volgare con lo sviluppo delle varietà plebee locali già parlate nell'antichità a seguito dell'episodio della Torre di Babele in cui Dio avrebbe punito gli uomini facendo sì che le lingue da essi parlate si differenziassero tra loro.
Il latino, lingua d'uso internazionale, allora generalmente adoperata nelle scritture e nei discorsi ufficiali, era definito da Dante come gramatica per antonomasia, cioè lingua convenzionale creata artificialmente perfetta. Tuttavia il volgare d'Italia, suddiviso al suo interno in tredici principali ripartizioni dialettali, aveva meritato, grazie alla Scuola poetica siciliana, di elevarsi all'uso scritto. Restava però aperto il problema sulla conformazione di quel volgare illustre che secondo Dante avrebbe dovuto avvalersi del concorso di tutti i dialetti d'Italia.
È interessante osservare che Dante nella propria opera letteraria non tentò di "inventare" un volgare pan italiano, bensì utilizzò il nativo fiorentino, pur criticando a livello teorico il toscano: "... si tuscanas examinemus loquelas...non restat in dubio quin aliud sit vulgare quod querimus quam quod actingit populus Tuscanorum", cioè se esaminiamo le parlate toscane ... non c'è dubbio che altro sia il volgare che cerchiamo rispetto a ciò cui attinge il popolo toscano.
Si possono citare, fra i tratti non pan italiani del fiorentino di quel tempo:
- il condizionale di tipo canterei rispetto a cantaria;
- la prima persona del presente indicativo unificata con il congiuntivo: parliamo, viviamo, finiamo (< -eamus, etc..), rispetto all'analogico: *parlamo, *vivemo, *finimo (< -amus, ecc.).
Tuttavia, nel corso del Quattrocento si perse memoria del De Vulgari, che sopravviveva in pochissimi esemplari. Quando nel 1529 Giangiorgio Trissino lo ripropose in una sua traduzione alla pubblica opinione molti sostennero che Dante non avrebbe mai potuto scrivere tale opera, accusando il Trissino di mistificazione. Nel frattempo la questione si era riaperta e sviluppata per altre vie grazie all'affermarsi del volgare toscano. Per la scelta di quale lingua utilizzare per la penisola italiana si cominciarono a formare tre correnti ognuna delle quali sosteneva un volgare diverso:
- la corrente detta cortigiana sosteneva di dover usare la lingua parlata nelle corti
- la corrente fiorentina che sosteneva di dover usare il volgare fiorentino reso pubblico da Dante, Petrarca e Boccaccio
- la corrente arcaizzante sosteneva di dover prendere le parole più eleganti dai diversi volgari
In pieno Umanesimo la questione della lingua si fece più accesa, anche in conseguenza dell'avvento della stampa ,la quale rendeva necessaria, ovviamente,la presenza di una norma coerente e omogenea a livello nazionale. A quel tempo Venezia era la capitale europea dell'editoria, in contrasto con Firenze. Fu proprio da queste due città che nacquero le due maggiori scuole di pensiero, Veneta e Toscana: la prima affermava il suo predominio a livello europeo nell'editoria e quindi nella comunicazione, la seconda rivendicava la cittadinanza dei grandi letterati trasformatori della lingua (Dante, Petrarca, Boccaccio). Sempre al modello fiorentino, ma a quello contemporaneo, si ispirava la posizione espressa da Niccolò Machiavelli nel Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua.
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